I sommersi e i salvati by Primo Levi

I sommersi e i salvati by Primo Levi

autore:Primo Levi [Levi, Primo]
Format: epub, azw3
Tags: Storia, Saggistica, Letteratura
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Diverso è il discorso da farsi sul tatuaggio, invenzione auschwitziana autoctona. A partire dall’inizio del 1942, ad Auschwitz e nei Lager che ne dipendevano (nel 1944 erano una quarantina) il numero di matricola dei prigionieri non veniva più soltanto cucito agli abiti, ma tatuato sull’avambraccio sinistro. Da questa norma erano esentati solo i prigionieri tedeschi non ebrei. L’operazione veniva eseguita con metodica rapidità da «scrivani» specializzati, all’atto dell’immatricolazione dei nuovi arrivati, provenienti sia dalla libertà, sia da altri campi o dai ghetti. In ossequio al tipico talento tedesco per le classificazioni, si venne presto delineando un vero e proprio codice: gli uomini dovevano essere tatuati sull’esterno del braccio e le donne sull’interno; il numero degli zingari doveva essere preceduto da una Z; quello degli ebrei, a partire dal maggio 1944 (e cioè dall’arrivo in massa degli ebrei ungheresi) doveva essere preceduto da una A, che poco dopo fu sostituita da una B. Fino al settembre 1944 non c’erano bambini ad Auschwitz: venivano uccisi tutti col gas al loro arrivo. Dopo questa data, cominciarono ad arrivare intere famiglie di polacchi, arrestati a caso durante l’insurrezione di Varsavia: essi vennero tatuati tutti, compresi i neonati.

L’operazione era poco dolorosa e non durava più di un minuto, ma era traumatica. Il suo significato simbolico era chiaro a tutti: questo è un segno indelebile, di qui non uscirete più; questo è il marchio che si imprime agli schiavi ed al bestiame destinato al macello, e tali voi siete diventati. Non avete più nome: questo è il vostro nuovo nome. La violenza del tatuaggio era gratuita, fine a se stessa, pura offesa: non bastavano i tre numeri di tela cuciti ai pantaloni, alla giacca ed al mantello invernale? No, non bastavano: occorreva un di più, un messaggio non verbale, affinché l’innocente sentisse scritta sulla carne la sua condanna. Era anche un ritorno barbarico, tanto più conturbante per gli ebrei ortodossi; infatti, proprio a distinguere gli ebrei dai «barbari», il tatuaggio è vietato dalla legge mosaica (Levitico 19.2 8).

A distanza di quarant’anni, il mio tatuaggio è diventato parte del mio corpo. Non me ne glorio né me ne vergogno, non lo esibisco e non lo nascondo. Lo mostro malvolentieri a chi me ne fa richiesta per pura curiosità; prontamente e con ira a chi si dichiara incredulo. Spesso i giovani mi chiedono perché non me lo faccio cancellare, e questo mi stupisce: perché dovrei? Non siamo molti nel mondo a portare questa testimonianza.



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